sabato 10 aprile 2010

MY FIRST PERSONAL




dal 21 aprile al 31 maggio
Marco Bertozzi
Iride
a cura di Gabriele Tosi




Inaugurazione mercoledì 21 aprile dalle 19 alle 23
apertura straordinaria in occasione dell'iniziativa Serata per l'arte promossa da Ascom Bologna
Galleria StudioG7
via Val d'Aposa 4A Bologna
tel/fax 051 2960371 mail: info@galleriastudiog7.it


GIOCHI DI SGUARDI

La ripetizione regolare e ossessiva di un segno. Una figura geometrica, il quadrato da cui tutto ha inizio, che nel farsi modulo rinuncia ad ogni lacerto di significato autonomo. Significare nell’insieme e fuori da questo, col fascino dismesso di una realizzazione di sola grafite. E’ questa l’operazione messa in atto da Marco Bertozzi, che trova nell’iride un ideale referente naturale.

Ritmiche e regolari scansioni nello spazio. Un gioco per toccare e pensare con gli occhi l’”altro” del muro, quello che c’è intorno e in superficie, più della sua solidità.

La sfuggevole soglia del qui e ora trova vita e visibilità nell’opera. I monocromi estetizzano l’imbarazzante terra di mezzo fra soggetto e oggetto, dove la rapida conoscibilità contemporanea tarda sempre ad affrettarsi. Per inserire lì il proprio intervento l’artista avvicina lo spazio di lavoro con circospezione, usa il metodo che più sente proprio, distende lo sguardo con le grucce della geometria. La stessa che per secoli ha reso i pittori capaci di rappresentare l’altrove e che adesso sostiene l’approccio diretto con il presente.

Eppur non ci si può attaccare ad un metodo come un ubriaco a un lampione: l’atto creativo - anche nella caducità di un wall drawing per una galleria - è il frutto delle interazioni e della conoscenza reciproca. Dieci giorni perché le progettualità dell’artista potessero tendersi e i muri accettare le “Iridi”, cosicché ognuna di queste, come in natura, si facesse unica e irripetibile. E’ proprio in questo rispettoso gioco delle parti, che non coincide solo con il tempo concesso, che Bertozzi si diversifica dalle ricerche storiche sulle strutture primarie, dove spesso il contrapporsi con l’ambiente era conseguenza dell’inevitabile necessità di relazionarsi con il proprio ospitante e trovava così “naturale” conclusione nell’invasione delle caratteristiche dello spazio; puntualmente surclassate dagli esiti, sia pur minimali, della creazione.

L’opera di Bertozzi è invece influenzata a tal punto dai feedback restituiti dal muro e dalla materia, che fonda su essi l’unicità del lavoro nonché il senso della sua esistenza. Ecco che, in linea con i più bravi artisti della sua generazione, ha capito che mezzi e spazi non sono solo i supporti di una creazione che arriva da altrove, ma influiscono sul lavoro fino a esserne conditio sine qua non. L’espressione, nell’epoca dell’hacking, si gioca così la partita sul piano dell’adattamento.

Iridi infine. Queste sono per l’artista qualcosa che per noi fruitori non potrà mai essere. Delle sensazioni che lui ha provato non ci interessa di sapere (per ora). Sono nuovi i giochi di sguardi a cui possiamo partecipare col nostro movimento e con la nostra psicologia. Il monocolo e il binocolo hanno adesso vita propria, difficile dire se le palpebre siano chiuse, se guardino al loro giaciglio invitando chi gli è davanti a fare lo stesso, con loro o magari attraverso di loro (in orizzontalità). O se invece chi è venuto per osservare finisce con l’essere osservato.

Gabriele Tosi


fino al 31.V.2010
Marco Bertozzi
Bologna, Studio G7

Wall drawing in galleria. Per osservare e per essere osservati da tre grandi “occhi”. Lo sguardo come punto di arrivo e di partenza. L’autore? Un tessile...

pubblicato su exibart.com mercoledì 12 maggio 2010

Quei disegni in rilievo, nati dal cartoncino intagliato e rialzato, sono ispirati al ritmo musicale di un frequentatore di discoteche, alla vibrazione fisica che la musica elettronica produce. Armoniose sequenze, sullo spazio dai colori pastello appena accennati, in una modularità che accompagna, ripete l’idea e crea un quadro come le note di uno spartito. Così i suoi lavori precedenti, alcuni visibili in occasione di questa nuova mostra, raccontano il significato che i sensi hanno nella dimensione creativa di Marco Bertozzi (Sorengo, Canton Ticino, 1982; vive a Lugano).
L’artista svizzero, che ha lavorato con
Sol LeWitt per la realizzazione di wall drawing e da cui attinge il motivo ispiratore della sua poetica, si presenta al pubblico con opere diverse all’apparire, ma non nella loro originaria concezione. L’arché, il principio da cui prende forma il wall drawing di questo giovane artista è qualcosa che poggia sull’idea di un flusso continuo. Sull’immagine evocatrice di un passaggio, una sorta di mandala, di strumento di ri-generazione: il cerchio, come messaggio di eterne potenzialità, assume qui la connotazione dell’occhio, di iridi molteplici.

L’occhio è lo strumento con cui si afferra il mondo ancor prima di afferrarlo con le mani, è il veicolo che meglio permette la comprensione del reale, la complessità delle differenze, delle unicità. E le molteplici iridi e il loro centro - “Ognuno è il centro universale dal quale non si può evadere - racchiudono un simbolismo universale. Occhi nati dal tratto grafico sulla parete bianca, creati in pochi giorni, con l’abilità di un artista che ha studiato come creatore tessile presso il CSIA - Centro Scolastico per le Industrie Artistiche di Lugano e che usa grandi telai per accompagnare, delineare il segno come fosse la tessitura di una stoffa. Creare forme circolari attraverso “fili” che partono e ritornano, come intersezione di linee rette.
Il risultato è una paziente geometria, una minimale architettura, una immagine scenografica che genera tre grandi “occhi”. “Mi si vede, dunque sono”; perché lo sguardo è ciò che conferma la nostra “forma”, che ci rassicura rispetto all’immagine che riflettiamo di noi stessi. Iridi che rimandano a un ritmo di interiore musicalità, al centro dello spazio che diviene centro del tempo, e la tessitura si dipana secondo un ordine perfetto, che guarda alla perfezione del creato.

l limite di questo “mandala” è quello di essere monocromatico, ma la scelta della grafite è la dimensione necessaria per una nuova creazione. Il limite è quello dell’effimero ma, anche in questo caso, il fine di un wall drawing è proprio questo: non “essere” nel tempo, nell’ottica del divenire incessante di tutte le cose. Il limite (e la sua forza) è quello di far scaturire la domanda: siamo qui per guardare o per essere guardati.? Sono occhi per guardare lontano o per guardare dentro di sé? Per cercare una meta? Ciò che voleva, magari, un moderno tessitore di immagini è proprio questo: consegnare all’arte il compito di indagare. Incessantemente.

mostra visitata il 21 aprile 2010